Mappa 1: Campodolcino – Fraciscio – Gualdera

LEGENDA

01) CAMPODOLCINO: “Palàzz” delle Corti, Museo Via Spluga e Val San Giacomo

02) CAMPODOLCINO Chiesa di S. Giovanni Battista

03) FRACISCIO Casa natale di Luigi Guanella

M1) Da FRACISCIO a GUALDERA

04) GUALDERA Motto del vento

05) FRACISCIO Chiesa di S. Rocco

06) Baita dello scoiattolo

PUNTI GUANELLIANI

Una locanda del tardo XVI secolo, ristrutturata ed ampliata nella seconda metà del Settecento dall’abate Antonio Foppoli di Mazzo di Valtellina, costituisce il nucleo originario dell’edificio che oggi ospita il “Museo della Via Spluga e della Val San Giacomo” (Mu.Vi.S.).

Nella primavera del 1896 don Luigi Guanella ottenne l’uso gratuito del “Palàzz” delle Corti e, sollecitato dai suoi concittadini, vi aprì un istituto con lo scopo di «introdurre alcune piccole industrie per gli uomini e per le donne di Campodolcino e Valle S. Giacomo» (Statuto della Pia Opera Sant’Antonio pro Campodolcino e Valle S. Giacomo, 1896).

L’istituto doveva occuparsi anche di «iniziare sopra luogo studi con lo scopo di vedere quali vantaggi si potrebbero ricavare dal suolo (erbe, alberi, rocce) dalle acque e dal clima» (La Piccola Casa a Campodolcino, in La Divina Providenza, maggio 1896). Oltre al risvolto sociale di quest’opera, a don Guanella stava dunque molto a cuore la valorizzazione delle particolarità paesaggistiche e naturalistiche locali. Don Guanella avviò nel “Palàzz” dei corsi professionali, fra cui quelli di cucito, di pizzo al tombolo e per la lavorazione della paglia per farne cappelli. Vi aprì pure un asilo climatico estivo per fanciulle, gestito dalle sue suore.

Malintesi amministrativi e organizzativi impedirono all’Opera di continuare e prosperare, ma restò benefica la scossa data al paese, che riprese fiducia nelle sue potenzialità legate al turismo e all’agricoltura di montagna.

La chiesa parrocchiale di S. Giovanni Battista, già nominata nel 1490, venne più volte rimaneggiata; nel 1844 fu allungata e allargata con l’aggiunta delle due navate laterali.

Qui il piccolo Luigi Guanella fu battezzato il 20 dicembre 1842 dal cugino di secondo grado don Gaudenzio Bianchi al fonte battesimale ancora oggi esistente, a quei tempi però collocato in una nicchia sul lato sinistro della chiesa. Padrino di battesimo fu Luigi Trussoni, madrina Maria Orsola Curti.

In questa chiesa Luigi Guanella ricevette anche la cresima, il 30 giugno 1849, da mons. Carlo Romanò.

Nelle immediate vicinanze del sagrato, il 24 giugno 1848, giorno della festa patronale, avvenne un fatto che colpì profondamente Luigi Guanella, quasi una anticipazione della sua missione.

Prima dell’inizio della Messa, mentre stava nascondendo alcune caramelle di zucchero che gli erano state regalate dal cognato Guglielmo Sterlocchi,«sentì un batter secco di mani, guardò là e vide un bel vecchietto che gli porgeva le mani quasi per dire: “Danne a me di que’ zuccherini”. Luigi ne sentì panico, finì di nascondere gli zuccherini e, guardando, non vide più il buon vecchietto e ne provò amarezza e rincrescimento» (L. Guanella, Le vie della Provvidenza, 1913-1914). 

Il monumento, opera dello scultore Alfredo Vismara, è stato inaugurato nel 2008 per volere della comunità parrocchiale di Campodolcino. La statua in bronzo di don Luigi Guanella, raffigurato nell’atto di soccorrere un anziano, troneggia su un alto piedistallo in pietra ornato con bassorilievi bronzei raffiguranti due scene della sua vita che hanno avuto luogo nella chiesa di Campodolcino e negli immediati dintorni. La prima è il battesimo, amministratogli dal parroco (e anche cugino di secondo grado) don Gaudenzio Bianchi il 20 dicembre 1842; la seconda è il noto episodio della visione del vecchietto avuta da Luigino il 24 giugno 1848.

«Quasi anagrammando l’episodio dell’infanzia descritto in uno dei due bassorilievi, ed invertendo i ruoli, qui è don Guanella adulto ad apparire al povero, quale simbolo delle istituzioni benefiche da lui volute, che ancora oggi sono un’ancora di salvataggio per tanti bisognosi. Lo accoglie con sollecitudine, non limitandosi ad esprimergli calore umano, ma prospettandogli con il gesto della mano alzata verso il cielo un amore più grande, immenso, quale quello di Dio. Ciò che don Guanella offre ancora oggi attraverso le sue istituzioni è “Pane e Paradiso”», frase riportata nella pietra del piedistallo (Cfr. A. Vismara, Il monumento al beato don Luigi Guanella nella piazza parrocchiale di Campodolcino. Presentazione, 2008).

L’edificio originario, costruito da Lorenzo Guanella, padre di Luigi, ha subìto nel tempo diverse trasformazioni ed aggiunte che gli hanno conferito l’aspetto attuale. La parte più antica della struttura risale alla prima metà dell’Ottocento, come attesta la data 1835 incisa sull’architrave della porta di ingresso, accompagnata da “LG” (iniziali di Lorenzo Guanella) con, al centro, la croce ad indicare la centralità di Dio nella famiglia. La facciata è ravvivata dall’immagine della Madonna del Carmelo; sulla parte sinistra è anche visibile un tenue dipinto di un’altra Madonna ai piedi della croce. Lo stesso Luigi Guanella ricorda: «Da chierico dipingevo […] a Fraciscio l’immagine della Madonna sulla facciata della casa paterna» (L. Mazzucchi, Fragmenta vitae et dictorum sac. Aloysii Guanella, 1912-1915).

Gli ambienti interni conservano ancora l’atmosfera di calore familiare e di sobrietà di quando la famiglia Guanella vi abitava. Una vera scuola di fede, di sacrificio e di generosità, che don Guanella ricorderà spesso come una grazia di Dio. Al piano terra, oltre al locale tradizionalmente denominato “stüa”, c’è la camera dei genitori, dove la notte del 19 dicembre 1842 nacque Luigi; al primo piano è stata allestita una piccola raccolta museale. Al secondo piano si può vedere la camera della sorella Caterina, Serva di Dio, accanto a quella usata da Luigi chierico quando tornava dal seminario per le vacanze, sul cui soffitto egli stesso aveva dipinto un cielo stellato. Ora questa stanza è stata adibita a oratorio.

Il gruppo monumentale in bronzo, opera dello scultore Alfredo Vismara, inaugurato nel 2005, prende spunto da un episodio dell’infanzia del piccolo Luigi, riportato nelle sue memorie autobiografiche. Insieme con la sorella Caterina, erano soliti impastare per gioco acqua e terra, dicendo con infantile ingenuità: «Quando saremo grandi faremo così la minestra dei poveri» (L. Guanella, Le vie della Provvidenza, 1913-1914).

Al centro della scena campeggiano le statue di Luigino e Caterina, intenti al gioco; alle loro spalle sono raffigurati i genitori, pa’ Lorenzo e mamma Maria, mentre osservano con tenerezza i figli. Attorno a questi personaggi sono stati collocati due pannelli in bassorilievo: quello di destra raffigura un albero, le cui radici prendono nutrimento dagli stemmi delle due Congregazioni guanelliane (i Servi della Carità e le Figlie di Santa Maria della Provvidenza) e la chioma delinea i cinque continenti. Il pannello di sinistra illustra invece una folla di bisognosi (poveri, anziani, disabili, orfani) di ogni parte del mondo, cui si rivolge l’attenzione dell’Opera iniziata da Luigi Guanella, anticipata da quel gioco colmo d’amore.

Sulla verde altura di Gualdera sorgono la baita di nonno Tomaso Guanella e, a fianco, un’altra costruzione rurale che – secondo la tradizione – sarebbe stata abitata da pa’ Lorenzo per qualche anno dopo il matrimonio; sul lato orientale si può vedere un’edicola fatta realizzare in seguito da don Guanella.
L’8 aprile 1852, a Luigi Guanella pareva «che il giorno della prima Comunione l’avrebbe passato meglio nella solitudine di Gualdera (la stagione era primaverile). In questo alpeggio, presso la cascina paterna, si solleva un piccolo colle detto Motto, sostenuto a mezzodì da uno scoglio, quasi muraglia […]. A metà dello scoglio sono due piccoli prati a forma di divano. […] Quel giorno egli si adagiò nel primo divano, deciso a rimanervi a lungo in preghiera ed in lettura. Intanto nel suo cuore si svolgeva un paesaggio di soave dolcezza quasi di paradiso che lo persuadeva a forti propositi di bene. Durò per pochi minuti, ma gli lasciò, fino ai suoi settant’anni, un soave conforto ed un ricordo che vorrebbe pur perpetuare nella pietra» (L. Guanella, Le vie della Provvidenza, 1913-1914).
In risposta a questo desiderio, nel 1958 veniva inaugurato un gruppo bronzeo – opera dello scultore Umberto Malinverno – raffigurante la Madonna che addita la futura missione al pastorello Luigi, circondato da una pecorella e una capretta. Lo completa un’epigrafe dettata da don Leonardo Mazzucchi.

La prima chiesa di Fraciscio risale al 1474; l’antica abside probabilmente corrispondeva all’attuale cappella laterale destra. Fu più volte rimaneggiata e restaurata: si ricordano in particolare i lavori del 1874, cui contribuì generosamente anche don Luigi Guanella, allora parroco di Savogno. In questa chiesa era solito «ancora fanciullo ascoltare con avidità le prediche ed i catechismi e poi in famiglia le ripeteva ai fratelli ed ai genitori» (Positio super introductione causae, teste L. Mazzucchi).
Don Guanella fu sempre molto legato a san Rocco: «a noi san Rocco ci ricorda la nostra chiesa ed il nostro sacerdote. San Rocco ci rappresenta il nostro paesello, il gruppo dei nostri monti, il nostro piccolo mondo e l’affetto più caro della pietà, della fede, della pace domestica. […] San Rocco pellegrino è vita nel mio paesello Fraciscio come san Pietro apostolo in Roma è vigore per tutto il mondo cristiano. San Rocco nel mio villaggio ei riceve i pensieri della mente, gli affetti del cuore, le tenerezze della famiglia, la famigliarità del luogo natio» (L. Guanella, Quarto centenario dalla traslazione del corpo di San Rocco, 1885).

«Il giogo del tuo monte è sublime, perché di là si contempla più davvicino il bel paradiso. Il profondo delle tue valli è sacro, perché nel ritiro della solitudine si impara a meglio amare il Signore, a meglio volere al prossimo dei fratelli[…] Buon montanaro valtellino, or io intendo la ragion di quell’affetto che ti fa aderire al vertice di monte, che ti configge al piano della tua valle. Figlio dei santi, tu vivi nella terra dei santi e tu sei lieto. Ah, renditi sempre più meritevole di tal terra e di cotali santi!» (L. Guanella, Il montanaro. Strenna Valtellinese nell’anno 1886, 1886).
Il piccolo Luigi Guanella passò la sua infanzia e fanciullezza nella natura bella e aspra di questi paesaggi alpini. Questi monti lo videro custodire il gregge sulle alture di Gualdera o sugli alpeggi di Motta e dell’Angeloga, portare il carico di fieno nel “campàcc” o di legna nel “gerlìn”, giocare libero con tutta la vivacità di un ragazzo sveglio, intelligente, talvolta anche un po’ troppo spericolato.
Scriveva don Luigi molti anni dopo, con un po’ di nostalgia: «I fanciulli sono da paragonare a quelle nostre caprette di montagna, che per molte ore si allontanano dal caprile e saltano di balza in balza; ma poi verso sera, quando il pastore le chiama con alte grida, esse gli corrono incontro perché sanno di assaporare dalle sue mani il sale saporito» (L. Guanella, Le vie della Provvidenza, 1913-1914).